venerdì 11 dicembre 2009

Il gioco è un fenomeno universale, presente in ogni epoca dotato di una sua grammatica interna. Il gioco e l'animazione sono concetti per lo più banalizzati dalla mentalità comune, che li considera parentesi gradevoli, ma intellettualmente povere, fra le cose importanti della vita. I giochi si evolvono (nascono, muoiono, si rafforzano) in connessione coi valori emergenti di un'epoca; da un lato trasmettono un sistema culturale di rapporti (tra maschi e femmine, tra gruppi sociali...) favorendone la conservazione, dall'altro introducono elementi innovativi. Il mondo ludico infantile viene sempre più addomesticato e deviato verso forme simboliche da una società, che fa riferimento soprattutto a codici simbolici. Il piacere senso-motorio del gioco invece dà origine a un'immagine positiva di sé, a un senso di vita profondamente gratificante. Il gioco non è solo un'esperienza ma è un modo di fare le cose e una cornice dentro cui leggiamo gli eventi. Poichè noi siamo tutte le età della nostra vita, come dice Stern, crescendo ognuno di noi continua anche ad essere il o la bambino/a che fu, l'adolescente che era. Il gioco pertanto rimette in contatto con quelle parti bambine di ciascuno serene, arrabbiate, affrante nella necessità, come educatori, di avere consapevolezza di queste emozioni, affinchè non siano scaricate sui bambini. Il gioco è ammesso nella scuola spesso come modo per rendere l'apprendimento più piacevole. Si ipotizza che esso di per sé, per il piacere del gioco, abbia un valore formativo e che si possano progettare itinerari educativi fondati sul desiderio come fattore di sviluppo. L'insegnante che si fa animatore e attiva laboratori di gioco, instaura una relazione educativa fondata sul riconoscimento di competenze autonome dei suoi allievi ed è consapevole di attivare un reciproco coinvolgimento emotivo di cui sa tenere conto: gioca con i bambini, non da bambino.